Al di là del mare
Il 26 dicembre 2004, alle 8,30 del mattino, lo tsunami violentò queste spiagge provocando circa 9mila morti e più di 140mila senzatetto.
Il maremoto, con epicentro vicino l’Isola di Sumatra, produsse un’onda che, viaggiando a 600-700 Km/h, raggiunse le coste indiane in quattro ore.
“La maggior parte delle persone che hanno perso la vita poteva sopravvivere – ha dichiarato il portavoce dell’Us Geological Survey, Waverly Person – se solo fosse stata avvisata in tempo. Lo spazio di un’ora sarebbe stato un tempo sufficiente per portare la gente all’interno, uno spostamento di alcune centinaia di metri che avrebbe potuto salvare migliaia di vite”.
Tutte le persone che ho incontrato hanno subito perdite nel disastro. Tutti, dopo i primi convenevoli, raccontano la loro esperienza.
“Guardati intorno, vedi queste persone che lavorano, quelli che parlano, le giostre, i pescatori… è tutto com’era la mattina del 26 dicembre, erano giorni di festa, era pieno di gente, se venisse adesso lo tsunami sarebbe lo stesso disastro di 10 anni fa.” Queste le parole di un venditore di immagini sacre sulla spiaggia di Mahabalipuram che, indicando delle rocce, ha aggiunto: “ Vedi quelle rocce? Prima non c’erano, fanno parte del Tempio, ce le ha regalate il mare”.
In queste parole si esprime la relazione con la tragedia propria della filosofia di vita che caratterizza gli indiani, per cui non è possibile una creazione senza una precedente distruzione. Nella Trimurti, infatti, Śiva rappresenta l'aspetto divino che pone fine ai cicli duali di vita-morte, per consentire a Brahmā di iniziarne degli altri.
“Al di là del mare” racconta la vita delle persone che abitano queste spiagge, i figli dello tsunami. Gente che ha ricostruito la propria esistenza, il proprio lavoro, la propria normalità, e che guarda al mare come una risorsa, ma con lo stesso rispetto, affetto e timore che si ha di fronte agli Dei.
La suggestione che mi ha fatto da guida sono il mare sullo sfondo e le parole delle persone in primo piano. Questo lavoro vuole essere il racconto di un viaggio fatto di persone e di rinascita: il racconto di un mare lontano che, in un solo movimento, ho sentito vicino e mi ha fatto paura.
Il maremoto, con epicentro vicino l’Isola di Sumatra, produsse un’onda che, viaggiando a 600-700 Km/h, raggiunse le coste indiane in quattro ore.
“La maggior parte delle persone che hanno perso la vita poteva sopravvivere – ha dichiarato il portavoce dell’Us Geological Survey, Waverly Person – se solo fosse stata avvisata in tempo. Lo spazio di un’ora sarebbe stato un tempo sufficiente per portare la gente all’interno, uno spostamento di alcune centinaia di metri che avrebbe potuto salvare migliaia di vite”.
Tutte le persone che ho incontrato hanno subito perdite nel disastro. Tutti, dopo i primi convenevoli, raccontano la loro esperienza.
“Guardati intorno, vedi queste persone che lavorano, quelli che parlano, le giostre, i pescatori… è tutto com’era la mattina del 26 dicembre, erano giorni di festa, era pieno di gente, se venisse adesso lo tsunami sarebbe lo stesso disastro di 10 anni fa.” Queste le parole di un venditore di immagini sacre sulla spiaggia di Mahabalipuram che, indicando delle rocce, ha aggiunto: “ Vedi quelle rocce? Prima non c’erano, fanno parte del Tempio, ce le ha regalate il mare”.
In queste parole si esprime la relazione con la tragedia propria della filosofia di vita che caratterizza gli indiani, per cui non è possibile una creazione senza una precedente distruzione. Nella Trimurti, infatti, Śiva rappresenta l'aspetto divino che pone fine ai cicli duali di vita-morte, per consentire a Brahmā di iniziarne degli altri.
“Al di là del mare” racconta la vita delle persone che abitano queste spiagge, i figli dello tsunami. Gente che ha ricostruito la propria esistenza, il proprio lavoro, la propria normalità, e che guarda al mare come una risorsa, ma con lo stesso rispetto, affetto e timore che si ha di fronte agli Dei.
La suggestione che mi ha fatto da guida sono il mare sullo sfondo e le parole delle persone in primo piano. Questo lavoro vuole essere il racconto di un viaggio fatto di persone e di rinascita: il racconto di un mare lontano che, in un solo movimento, ho sentito vicino e mi ha fatto paura.